di Dino Borri
Qual è il fil rouge che lega le città di Addis Abeba, Bucarest, Calcutta, Gerusalemme, New York con il suo Bronx, Sofia, Timisoara, o la Palestina di una band multietnica, e il planisfero? Cosa lega, in vari toni di arancio, blu, indaco, grigio, rosa, rosso, verde, viola, le trame urbanistiche doppie, insieme geometriche e organiche, di Addis e di Calcutta, la geometria irregolare di Bucarest e quella implacabile di New York, le scacchiere di Sofia e di Timisoara, o – quasi in un gioco notturno cinese – le ombre dei continenti dei mondo, alle impronte di mani, scarpe, bocche, di Ayele Kidan, Chandra Shabvala, Mattei Gheorghiu, Roy Thompson, Martina Zivkova, Jancu Petrescu, Nabil, dei cinque di Zelig?
Tratto dal catalogo “Imprinting” di Claudio Cusatelli, 2004
di Gianrico Carofiglio, scrittore e magistrato.
“Mi scusi, posso farle una domanda ?”
Quasi sobbalzai. Aveva parlato senza girarsi – solo in movimento appena accennato dal capo – e senza preavviso. l’accento era impercettibilmente straniero. E lei era bella, con gli zigomi alti, un naso largo che le dava anche un’aria decisa e simpatica, i capelli lunghi e scuri.
“Prego”
Prego. Una vita che giuravo a me stesso che non avrei mai più usato quell’espressione, assieme a salve, buondì e altre schifezze del genere.
“Vorrei sapere il nome del suo profumo.”
“Il mio profumo?”
Sorrise leggermente. La testa si girò ancora un po’ verso di me. In un modo strano però.
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