di Gabriele Perretta.
Alla base del linguaggio pittorico di Claudio Cusatelli sta una condizione di produttiva mobilità. Il soggetto agente del fare pittorico compie continue escursioni nello spazio della tela. In tal modo la nozione di passaggio inizia una metamorfosi radicale, disponendosi oltre il quadro per entrarvi dentro orizzontalmente come ambigua ispirazione dei rapporti tra soggetto e mondo.
Il senso è ormai la cosa meno condivisa della pittura, ma la questione del senso della pittura è ormai il destino del suo linguaggio, senza riserve né scappatoie possibili, dice Jean-Luc Nancy in un suo brillante passaggio sul pensiero finito dell’arte. La pittura è quella zona del linguaggio che è più vicina all’essere, in “maniera tale che ogni volta si tratta dì una singolarità finita” (Un pensiero finito, a cura di Luisa Bonesio, Marcos y Marcos. 1992 pag. 7-24-61).
Di fronte alle cose che accadono, intese come eventi irriducibilmente singolari e dotati di una lingua che ha una struttura superiore e più complessa rispetto alla pittura, un pensiero ed un’azione artistica così semplice, quale è l’attività del colore sulla tela, deve riconoscere i propri limiti e prendere atto della fine dell’arte e della pittura come inizio di un esercizio che è al limite di un compito etico.
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